Apertura Sinodo Diocesano

Il testo dell’Omelia nella Celebrazione presieduta da S. E. Mons Francesco Nolè


Cattedrale di Cosenza, 17 ottobre 202

Se foste al posto mio, anche voi direste: “Che bella immagine di Chiesa oggi, popolo di Dio in cammino, in ascolto della Parola, in comunione intorno all’altare, e poi pronta per evangelizzare. Una Chiesa in ascolto, una Chiesa missionaria, ma anzitutto una Chiesa in comunione”.

Saluto tutti voi, fratelli nel sacerdozio, nella vita consacrata, nel battesimo che ci dona la grazia di essere tutti fratelli e sorelle in Cristo. Saluto con fraterno affetto i delegati e i responsabili delle altre confessioni religiose presenti a Cosenza: Ortodossi, Chiesa Evangelica Valdese, Chiesa Evangelica Pentecostale di Bethel, la comunità Bahá’í, la comunità islamica, Susanna Giovannini, Presidente Segretariato Attività Ecumenica di Cosenza insieme ad alcuni membri. La loro presenza – per cui li ringrazio fraternamente –  è frutto di un cammino che viene da lontano, di dialogo, di rispetto; è un cammino che ci vede sempre più uniti nell’essenziale. Saluto anche Padre Salvatore, Generale degli Ardorini, e Padre Francesco, che è Correttore Provinciale dei Minimi, così come il Vicario Generale, i Vicari Episcopali, i Vicari Foranei, i sacerdoti, i diaconi, i seminaristi, i consacrati e tutti voi, carissimi fratelli e sorelle in Cristo.

Il vangelo di oggi ci presenta un frammento del cammino sinodale di Gesù con i suoi discepoli. Spesso Gesù si ferma con loro a parlare, a chiarire, a dire parole che non ha detto ad altri. Questa volta lo fa in maniera singolare, perché si avvicinano a lui gli apostoli Giacomo e Giovanni e vogliono che Egli faccia quello che chiederanno. Dunque non chiedono di fare qualcosa, ma chiedono che Egli faccia ciò che essi stessi desiderano. Quante volte anche noi, pregando in maniera simile il Signore, vogliamo che Lui faccia quello che noi desideriamo, e invece Gesù, che ci ascolta sempre, magari compie altri prodigi, più necessari e più efficaci per la nostra vita.

Gesù entra in dialogo con loro. Qui ci viene presentata una delle parole-chiave, la prima che ci accompagna nel nostro Sinodo: ‘ascoltare’. Gesù ascolta. E poi dice: “Potete bere il calice che io bevo? O essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?” Cioè dice Gesù: “Sapete che significa seguirmi fino in fondo? Sapete cosa state chiedendo? Sapete che significa ciò che chiedete? Siete consapevoli che la missione che il Padre mi ha affidato è quella di essere al servizio, non di farmi servire; Voi non sapete quello che chiedete!”.

Quante volte il Signore ha fatto risuonare dentro di noi queste stesse parole, che dovrebbero aiutarci a chiedergli piuttosto: “Sia fatta la tua volontà!”, non a chiedere altro, perché il Padre conosce ciò che è bene per noi: la sua Misericordia e la sua Grazia”.

Il “Sinodo” di Gesù va avanti, non si ferma al dialogo. Intervengono gli altri dieci, i quali incominciano a indignarsi, perché hanno chiesto queste cose, non perché ricercassero la comunione tra loro, ma perché avranno pensato: “come vi permettete di chiedere cose da cui noi siamo esclusi? Perché chiedete solo per voi?”: il carrierismo, la voglia di potere, la voglia di essere promossi a tutti i costi. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro – ecco il momento del dialogo, da cui nasce la comunione -: “Voi sapere che coloro i quali sono considerati i grandi dominano; i capi li opprimono. Tra voi però non è così.” Gesù non dice: “non sarà così”. Proviamo a tradurlo con un interrogativo: “Tra voi però non è così, è vero?”, cioè, “tra di voi ci deve essere competizione, ma nel servizio, non nel comando; è vero che non è così?” Ce lo chiede il Signore questa sera, in questa assemblea liturgica sinodale;  proviamo a rispondere per noi stessi e per la nostra vita.

Il Signore vuol farci prendere consapevolezza che Lui è al servizio e chi vuol seguire Lui deve servire, non può fare altro, in qualsiasi situazione si trovi: “infatti il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire”.

Ecco allora le tre parole-chiave del Sinodo: comunione, partecipazione e missione, che abbiamo sentito diverse volte, e che sfociano in altrettante tre  parole operative sono: ascolto, discernimento e partecipazione. 

Ascolto: chi dobbiamo ascoltare? Tutti, in modo particolare chi in quel momento è presente. Ascoltare, per noi sacerdoti, non significa portare l’ordine del giorno e comunicarlo in vista di una riunione, ma significa “che ne pensate di questa azione pastorale che vogliamo intraprendere ?”.  Siamo una minima parte noi preti, rispetto al popolo di Dio dei battezzati. Allora dobbiamo interrogarci: siamo in ascolto? Ci poniamo in ascolto dei fratelli, o andiamo già con le decisioni preconfezionate e le imponiamo, e chi dice di no lo collochiamo fuori dalla Chiesa? Magari non lo mandiamo via ma ma egli  si autoesclude perché non accetta una Chiesa prepotente, desiderando invece una chiesa comunione, partecipazione, in dialogo.

Per fare questo bisogna mettersi in ascolto della Parola e dello Spirito, perché solo attraverso lo Spirito e la Parola noi saremo capaci di ascoltare la Verità, tutti insieme, e stasera saremo capaci di dire “tra noi non è così, tra noi non c’è uno che comanda e gli altri ubbidiscono, ma c’è il dialogo, c’è il rispetto, c’è il cammino da percorrere insieme.”

Il Sinodo, che è uno dei frutti del Concilio, voluto da Paolo VI, è stato istituito per portare in tutta la Chiesa, attraverso una consultazione universale, i temi che riguardano il cammino della Chiesa nel mondo.  Papa Francesco ha avuto questa intuizione certamente ispirato dallo Spirito Santo: “facciamo un Sinodo sulla sinodalità”: sinodalità come stile di Chiesa. Non c’è un argomento specifico: è come sentirsi impegnati, in cammino, missionari nella Chiesa di oggi, nel post-pandemia. Tutti andiamo alla ricerca di strategie nuove perché siamo sempre di meno: dunque poniamoci in ascolto!

Quante volte abbiamo ripetuto agli sposi: “se cercate la verità sul vostro matrimonio, tornate a quel giorno in cui, davanti a Dio, vi prometteste amore per sempre, e Lui vi indicherà la strada giusta”, ma poi non si fa così, purtroppo, ci si lascia prendere da tanti altri interessi, passioni, distrazioni. Così può accadere a noi: presi da tanti argomenti possiamo dimenticare l’essenziale, cioè che noi siamo un popolo che appartiene a Dio nelle sue varie componenti, e ciascuno deve rispondere di ciò che ha ricevuto a Dio e per i fratelli.

Abbiamo sentito nel vangelo che non è possibile può mettere vino nuovo in otri vecchi: è necessario rinnovarsi totalmente, senza scusare, senza scorciatoie. Possiamo rimandare qualcosa, ma alla fine i veri problemi si ripresenteranno, sempre più grandi, sempre più gravi, e si rischia di disperdere tutto ciò che è stato seminato.

Vogliamo desiderare una Chiesa rinnovata per una società nuova. Ci è richiesto tanto tanto oggi dalle nostre comunità! Io quando vado a visitarle noto sempre che c’è tanta voglia di ascoltare, di stare vicini, di invitare per una prossima visita”. Perché? Perché in noi si scorge la visita e la presenza di Dio, e spesso noi facciamo altro che mostrare il volto quel Dio tanto desiderato e cercato..

Questo deve essere lo stile nuovo della Chiesa, popolo di Dio in cammino, nelle sue varie realtà. Possiamo dire questa sera, ognuno nel suo cuore, “mai più da soli, mai più prendere decisioni da soli, ma rendendo protagonisti i fratelli e le sorelle battezzati”. Sono previsti gli organismi di partecipazione, il Concilio ce li ha raccomandati: facciamoli vivere, facciamoli funzionare; è anzitutto un interesse per noi, perché alleggeriscono il nostro lavoro e ci aiutano a creare quel clima di partecipazione dove nessuno si deve sentire escluso. La nostra non è democrazia, è comunione partecipativa, per cui non penso sia necessario, per costituire un Consiglio Pastorale, ricorrere alle votazioni – quelle le fanno i politici! Il Consiglio Pastorale deve essere rappresentativo di tutte le realtà cattoliche della parrocchia, ma non eletto, per evitare di creare separazioni, diverbi, malcontenti.

Ora, aprendo questo tempo di grazia in ascolto dello Spirito, vogliamo interrogarci su cosa si deve fare e da che cosa bisogna guardarsi in questo cammino sinodale. Il tempo non è molto; fino a febbraio dovremo confrontarci e dialogare, secondo quanto ci sarà indicato dal delegato, nella persona di Don Enzo Gabrieli, insieme alla sua equipe.

Anzitutto essere sinodali richiederà di dedicare del tempo alla condivisione e quindi ai nostri incontri, nelle foranie e nelle comunità religiose, ma anche in parrocchia, con gli organismi di partecipazione. Ci vuole umiltà nell’ ascoltare così come anche coraggio nel parlare: umiltà nell’ascolto, coraggiosi nel parlare!

Tutti hanno il diritto di essere ascoltati e tutti hanno diritto di parlare. Ricordo uno dei primi incontri che Papa Francesco tenne solo con i Vescovi: un vescovo era intervenuto una volta, poi ancora una seconda e una terza volta; noi a brontolare… e il Papa disse: “non si impedisce a nessuno di parlare! Può darsi che il nostro confratello adesso dica qualcosa che è più importante di quello che ha detto prima”; e tutti, in silenzio, abbiamo appreso la lezione.

Proviamo a raggiungere le persone anche attraverso il dialogo ecumenico e interreligioso: sono perciò contento della vicinanza dei rappresentanti delle altre religioni: grazie perché ci aiutate a sognare insieme e camminare insieme con tutta la famiglia umana; Dio è Dio di tutti, non è specifico nostro, e noi siamo tutti figli suoi, anche quelli che questa sera non sono qui con noi, anche quelli che non lo riconoscono o che lo combattono.

Certamente in questo nostro nuovo cammino dovremo stare attenti ad evitare alcuni atteggiamenti che potrebbero impedirci di raggiungere i nostri obbiettivi pastorali.

La tentazione di voler guidare il cammino a modo nostro, invece di lasciarci guidare da Dio. La sinodalità non è un esercizio strategico: “adesso vado a parlare in assemblea , parlerò in questo modo, così tuti accoglieranno ed accetteranno la mia proposta”. Lasciamo parlare lo Spirito; lasciamo spazio allo Spirito Santo.

La tentazione di concentrarci su noi stessi e sulle nostre preoccupazioni immediate. Non guardiamo ai nostri interessi, noi siamo a servizio dei fratelli; quello che è conveniente per loro noi dobbiamo fare, non il contrario, altrimenti siamo impiegati, arriverà la fine dell’orario stabilito e finirà anche la prestazione.. E pensare che c’è gente in missione che dà la vita notte e giorno, per la causa del Vangelo!

 La tentazione di concentrarci solo sulle strutture. Sono importanti, ma non sono essenziali. Se vengo mandato in una parrocchia, la prima cosa da fare è conoscere i fedeli, senza trascurarli per il toppo fare in loco, con il rischio di tralasciare l’essenziale che è l’evangelizzazione, la catechesi, la prossimità..

Infine, la tentazione di ascoltare solo coloro che sono già coinvolti nelle attività​ della Chiesa e normalmente ci danno ragione.

È facile così! Questo approccio può risultare facile da gestire, ma finisce per ignorare una parte significativa del popolo di Dio che si sente escluso. E c’è questa tentazione, soprattutto quando, nei trasferimenti, ci si circonda solo persone più fidate per garantirsi un seguito. È una tentazione, perché si rischia di non tenere presente che tutti hanno la dignità di figli di Dio.

Vorrei concludere con le parole del messaggio della CEI per l’inizio del Sinodo: “Ascoltiamoci, per riscoprire le nostre possibilità; ascoltiamoci per ascoltare le nostre storie. Imparando a stimare i talenti degli altri, perché donare è generare! doniamo i reciprocamente i carismi che lo Spirito ha messo nei nostri cuori“.

Maria Santissima, nostra amata Patrona, ci guidi e ci accompagni in questo nuovo itinerario, che per la nostra Diocesi sarà anche un giubileo di benedizione e di grazia per il prossimo ottocentesimo anniversario della Consacrazione della Chiesa Cattedrale.

Buon cammino sinodale a tutti!


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