Chi è l’arcivescovo Kikuchi, nuovo presidente di Caritas Internationalis

Nuovo presidente Caritas internationalis

Il Papa gli ha fatto gli auguri, durante il Regina Caeli di domenica scorsa. «Avanti con coraggio sulla via della riforma». Lui stesso , in una dichiarazione a Vatican News ha fatto intendere quale linea intende seguire: «Aiutare le persone a sapere che non sono dimenticate, questa è la vera missione della Caritas». Monsignor Tarcisio Isao Kikuchi, arcivescovo di Tokyo, è il nuovo presidente della Caritas Internationalis. È stato eletto per un mandato di quattro anni, da parte dei 400 delegati presenti alla 22.ma Assemblea generale dell’organizzazione.

Nato nel 1958 a Miyako, prefettura di Iwate, entra nella Società del Verbo Divino nel 1985, all’età di 26 anni, e riceve l’ordinazione sacerdotale l’anno successivo. Si reca nell’Africa occidentale, servendo le missioni in Ghana e divenendo provinciale della sua congregazione nel 1999. Il 29 aprile 2004 è stato nominato vescovo di Niigata da san Giovanni Paolo II e ha ricevuto la consacrazione episcopale il 20 settembre dello stesso anno. Il 25 ottobre 2017 papa Francesco lo ha nominato arcivescovo metropolita di Tokyo. E in questa veste ha ricevuto la visita del Pontefice in Giappone nel novembre del 2019.

«Caritas Internationalis è la seconda agenzia di aiuti umanitari al mondo dopo la Croce Rossa Internazionale – ha spiegato ieri a Vatican News -. È quindi conosciuta come Ong professionale, che offre assistenza alle persone in situazioni difficili, ma in realtà non siamo solo una Ong, siamo molto di più. Siamo un’organizzazione della Chiesa cattolica e un istituto al servizio della Chiesa. Ciò significa – ha specificato il neo presidente – che la Caritas deve essere una testimonianza dell’amore di Dio. Quello che facciamo non è solo fornire cibo o materiale o qualsiasi altro tipo di assistenza, siamo anche testimoni dell’amore di Dio, per mostrare alle persone che è così che il Signore ama tutti gli uomini».

Monsignor Kikuchi ha fatto riferimento anche alla sua esperienza di missionario. «Nel 1995 sono stato inviato nel campo dei profughi ruandesi a Bukavu, nello Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo, ndr). Lì ho incontrato diversi rifugiati. Naturalmente mancava tutto. Non c’era cibo, non c’erano vestiti, non c’era un riparo e la gente aveva bisogno di tutto. Poi, la seconda volta che sono andato al campo, ho conosciuto alcuni dei loro capi, ho chiesto loro di cosa avessero bisogno, mi aspettavo che dicessero: “Abbiamo bisogno di cibo, di istruzione, di medicine, di un riparo”, o qualcosa del genere. Ma invece le parole furono: “Padre, tu vieni dal Giappone. Quindi, quando tornerai in Giappone, dì loro che noi siamo ancora qui: siamo tutti dimenticati».

L’arcivescovo ha raccontato di essere rimasto «scioccato». «Dopo quell’esperienza – ha aggiunto -, ho incontrato tante persone in diverse aree, in diversi Paesi colpiti da disastri, persone in zone devastate da guerra o da conflitto. Ho sentito sempre la stessa storia e lo stesso grido: “Siamo dimenticati, siamo dimenticati”. Questa è la vera missione della Caritas: aiutare le persone a sapere che non sono dimenticate. Vogliamo essere con loro».

Il nuovo presidente di Caritas Internationalis ha concluso: «Se non dimentichiamo le persone, possiamo riuscire a creare la speranza di sopravvivere». Quindi, oltre a dare cose materiali e beni di prima necessità, «possiamo essere amici e camminare insieme. Possiamo essere con loro, in modo che abbiano la certezza di non essere dimenticati. Da questo, possono creare la speranza di sopravvivere».

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