Leone XIV: «La politica non è un mestiere, è una missione di verità e di bene»

I rappresentanti parlamentari eletti dal popolo, nella loro azione politica, hanno il compito di “tutelare il bene della comunità”. Ma anche di promuovere un’effettiva libertà religiosa e un “costruttivo incontro tra le diverse comunità religiose”, perché credere in Dio è nella vita delle comunità “una fonte immensa di bene e di verità”. E infine di rispondere alla “grande sfida dell’intelligenza artificiale”, per progettare “stili di vita sani, giusti e sicuri” soprattutto per i giovani. Avendo come fonte di ispirazione San Tommaso Moro, che interpretò la politica “non come professione, ma come missione per la crescita della verità e del bene”. Tra considerazioni e l’indicazione di un modello di “servitore dello stato proprio in forza della sua fede”, che Papa Leone XIV condivide questa mattina, nell’Aula della benedizione, incontrando settecento parlamentari di 68 Paesi del mondo, in occasione del Giubileo dei governanti.

LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DI LEONE XIV (IN INGLESE)

Politica forma più alta della carità

Il Papa apre il suo discorso, in inglese, citando Pio XI, quando definisce l’azione politica “la forma più alta della carità”, e l’Enciclica Fratelli tutti di Francesco, che la descrive come “un’opera di quell’amore cristiano che non è mai una teoria, ma sempre segno e testimonianza concreta dell’agire di Dio in favore dell’uomo”, quando svolge il suo servizio “a favore della società e del bene comune”.

Promuovere e tutelare il bene della comunità

E la prima considerazione di Leone XIV riguarda proprio “il bene della comunità, specialmente in difesa dei più deboli ed emarginati” che i parlamentari sono chiamati a promuovere e tutelare “al di là di qualsiasi interesse particolare”. Affinché sia superata, scriveva Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum, “l’inaccettabile sproporzione tra una ricchezza posseduta da pochi e una povertà estesa oltremisura”.

“Quanti vivono in condizioni estreme gridano per far udire la loro voce e spesso non trovano orecchie disposte ad ascoltarli. Tale squilibrio genera situazioni di permanente ingiustizia, che facilmente sfociano nella violenza e, presto o tardi, nel dramma della guerra.”

Per questo “una buona azione politica”, favorendo l’equa distribuzione delle risorse, “può offrire un efficace servizio all’armonia e alla pace sia a livello sociale, sia in ambito internazionale”.

Libertà religiosa e dialogo interreligioso

Il Pontefice riflette poi, ed è il secondo punto, sulla libertà religiosa e il dialogo interreligioso: anche in questo campo, “oggi sempre più di attualità” sottolinea, l’azione politica può fare tanto…

…promuovendo le condizioni affinché vi sia effettiva libertà religiosa e possa svilupparsi un rispettoso e costruttivo incontro tra le diverse comunità religiose. Credere in Dio, con i valori positivi che ne derivano, è nella vita dei singoli e delle comunità una fonte immensa di bene e di verità.

Papa Leone XIV cita per questo Sant’Agostino, che per la costruzione della civitas Dei, una società in cui la legge fondamentale è la carità, l’uomo deve passare “dall’amor sui – l’amore egoistico per sé stesso, chiuso e distruttivo – all’amor Dei – l’amore gratuito, che ha la sua radice in Dio e che porta al dono di sé”.

La legge naturale e la Dichiarazione dei Diritti Umani

Ciò che deve accomunare tutti nell’azione politica, per il Papa, è allor il riferimento alla legge naturale “non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo”. Quella che Cicerone definiva la “diritta ragione, conforme a natura, universale, costante ed eterna, la quale con i suoi ordini invita al dovere, con i suoi divieti distoglie dal male”.

La legge naturale, universalmente valida al di là e al di sopra di altre convinzioni di carattere più opinabile, costituisce la bussola con cui orientarsi nel legiferare e nell’agire, in particolare su delicate questioni etiche che oggi si pongono in maniera molto più cogente che in passato, toccando la sfera dell’intimità personale.

Oggi questa legge, per Leone XIV, trova espressione nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata nel 1948 dalle Nazioni Unite, un testo sempre attuale che “può contribuire non poco a mettere la persona umana”, a fondamento “della ricerca della verità, per restituire dignità a chi non si sente rispettato nel proprio intimo e nelle esigenze della propria coscienza”.

La grande sfida dell’intelligenza artificiale

Infine la terza considerazione del Pontefice riguarda la “grande sfida dell’intelligenza artificiale”, il cui sviluppo potrà aiutare molto la società se non intacca “l’identità e la dignità della persona umana e le sue libertà fondamentali”. La sua funzione, ricorda, è “nell’essere uno strumento per il bene dell’essere umano, non per sminuirlo o per definirne la sconfitta”

“Quella che si delinea, dunque, è una sfida notevole, che richiede molta attenzione e uno sguardo lungimirante verso il futuro, per progettare, pur nel contesto di scenari nuovi, stili di vita sani, giusti e sicuri, soprattutto a beneficio delle giovani generazioni.”

La vita personale, sottolinea Papa Leone XIV, “vale molto più di un algoritmo e le relazioni sociali necessitano di spazi umani ben superiori agli schemi limitati che qualsiasi macchina senz’anima possa preconfezionare”. Perché, come ricordava Francesco nel suo discorso alla Sessione del G7 sull’intelligenza artificiale, del giugno 2024, l’intelligenza artificiale rimane dotata di una “memoria” statica, “per nulla paragonabile a quella dell’uomo e della donna, che è invece creativa, dinamica, generativa”. Per questo la politica è chiamata in causa, per rispondere a tanti cittadini che giustamente guardano, “con fiducia e preoccupazione alle sfide della nuova cultura digitale”.

Tommaso Moro, servitore dello Stato in forza della fede

Il Papa conclude il suo discorso ricordando che san Giovanni Paolo II, per il Giubileo del 2000, ha indicato “come testimone a cui guardare e intercessore sotto la cui protezione porre il loro impegno, San Tommaso Moro”.

“Sir Thomas More fu uomo fedele alle sue responsabilità civili, perfetto servitore dello Stato proprio in forza della sua fede, che lo portò a interpretare la politica non come professione, ma come missione per la crescita della verità e del bene.”

Come ricordava Papa Wojtyla, il santo martire inglese “pose la propria attività pubblica al servizio della persona, specialmente se debole o povera; gestì le controversie sociali con squisito senso d’equità; tutelò la famiglia e la difese con strenuo impegno; promosse l’educazione integrale della gioventù”. E sacrificò la sua vita “pur di non tradire la verità”, cosa che ne fa ancora oggi “un martire della libertà e del primato della coscienza” e per i parlamentari “fonte di ispirazione e progettualità”.

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