I Musei Vaticani svelano la collezione di micromosaici

Un’arte estremamente raffinata, nata all’ombra della Cupola di San Pietro. Il mosaico minuto, o micromosaico, fiorì nel tardo Settecento a Roma. Presto si diffuse in tutta Europa come oggetto particolarmente ambito dai viaggiatori del Grand Tour che, sedotti dalla bellezza senza tempo della Città Eterna, in un’epoca dominata dal gusto neoclassico, desideravano rientrare in patria con un ricordo vivo e intimo di ciò che avevano ammirato; un souvenir diremmo oggi.

Tra tabacchiere e gioielli

Per i facoltosi giovani che nel XVIII secolo visitavano Roma, ammiravano stupiti la magnificenza delle rovine di Pompei ed Ercolano, o la bellezza sublime dei paesaggi italiani, fu ideata la produzione di oggetti unici: tabacchiere, fermacarte, spille, gioielli, carnet di ballo sui quali campeggiano vedute archeologiche, la campagna romana, i monumenti simbolo della cristianità, ma anche animali e fiori.

Una collezione permanente

A testimonianza di questa tradizione romana, da oggi nella Sala Paolina delle Gallerie Inferiori dei Musei Vaticani trova spazio, in allestimento permanente, l’intero corpo – quasi cinquecento pezzi – di mosaici minuti delle collezioni pontificie. La straordinaria raccolta è appartenuta a Domenico Petochi ed è stata acquisita nei primi anni Novanta del secolo scorso grazie all’allora direttore Carlo Pietrangeli. Esposta in parte nella grande mostra del 1986 al Braccio di Carlo Magno, è ora offerta al pubblico: collocata negli antichi armadi della Biblioteca Vaticana che un tempo custodivano i manoscritti, poi trasferiti nel bunker costruito sotto il Cortile della Pigna.

Intimità e testimonianza di un’epoca

“È forse una delle collezioni più importanti al mondo di micromosaici”, spiega a Vatican News il Direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta. “I soggetti sono prevalentemente laici, in minoranza religiosi. Precedentemente questi piccoli capolavori erano conservati in una sala delle Gallerie Superiori, aperta solo in occasioni speciali. Abbiamo deciso di esporli in modo permanente per consentire a tanti visitatori, usciti dalla Cappella Sistina, di avere un incontro con oggetti nati per una fruizione intima e frutto di un lavoro meticoloso. Un’arte raffinata, testimone del gusto e del collezionismo europeo a cavallo tra Settecento e Ottocento e che nel contempo racconta una produzione squisitamente romana, vaticana”.

Il mosaico minuto si affermò infatti nel 1795 all’interno dello Studio del Mosaico Vaticano, posto circa settant’anni prima da Benedetto XIII alle dipendenze della Fabbrica di San Pietro. Le maestranze dell’istituzione, nata per riprodurre a mosaico le grandi pale d’altare della Basilica Vaticana e conservarne il complesso apparato decorativo musivo, realizzarono tessere di dimensioni inferiori al millimetro, sostituendo la tecnica dello smalto vetroso tagliato, utilizzato nelle opere di dimensioni maggiori, con quella della filatura.

Estrema cura e minuzia nell’uso di pinzette e lime caratterizzano l’esecuzione di questi piccoli capolavori sulle cui decorazioni si arrivano a contare mille minuscole tessere per centimetro quadrato.

Nostalgia e invenzione

“Nostalgia e invenzione” sono le due parole che, prese in prestito dal titolo della raccolta di studi di Alvar González-Palacios, massimo conoscitore della materia, sono state scelte per descrivere il nuovo allestimento dei Musei Vaticani. “Nostalgia, perché questi oggetti parlano di un passato che non c’è più”, precisa Luca Pesante, curatore del Reparto Arti Decorative delle collezioni pontificie. “Invenzione, perché rimanda a questa forma di arte nuova che affonda le radici nell’arte classica e nasce nello Studio del Mosaico Vaticano, fondato ufficialmente nel 1727 e avviato verso i suoi 300 anni di vita”.

Il pregiudizio di Winckelmann

Nonostante il grande successo di cui godette a cavallo tra i due secoli, il micromosaico fu disprezzato da Winckelmann e Goethe. “Secondo i grandi esegeti dell’epoca queste opere minute – prosegue Pesante – non erano altro che capricci muliebri ed avevano ridotto la gloriosa tradizione antica del mosaico ad una forma di ornamento per braccialetti e tabacchiere”. Per comprendere bene quest’arte occorre rovesciare il punto di vista e lasciarsi guidare da Alvar González-Palacios, secondo il quale “quel che si cerca negli oggetti a cui accenniamo non è tanto la loro realtà fisica quanto l’evocazione di un ideale poetico che è in noi senza che ne siamo del tutto coscienti”.

 

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